di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache, 08-03-2016] «Mi
piace alla fine, dirmi e dirvi che vivo ancora, che ogni segno, ogni
parola detta, scritta o dipinta, affidata all'amore altrui, mi dà
vita». Difficile trovare una sintesi migliore delle stesse parole
del poeta, nel dar conto dell'omaggio che gli è stato reso
attraverso la mostra
fotografica Alfonso Gatto e il Catalogo 1968-1976,
allestita con la collaborazione della Fondazione Gatto dal 6
al 13 marzo presso la galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e
Antonio Adiletta, nel quarantennale della morte: quarantacinque foto
di Michele Adinolfi, Benito Siano e Antonio Tateo, scattate a Salerno
tra il 1963 e l'anno della scomparsa, il 1976. L'attenta selezione
curata da Adiletta è presentata da un testo di Paola Capone, docente
di Storia dell'arte dell'ateneo salernitano. Alla carrellata di
esponenti del mondo dell'arte e della cultura, ma anche della
politica e dello sport, come Josè Altafini, fanno da cornice ideale
un bel ritratto del poeta risalente al 1937 e le immagini dell'addio:
le partecipatissime esequie e la tomba del poeta nel cimitero di
Salerno, sormontata da un macigno, incombente in primo piano, che,
con la sua mole, sembra evocare la grandezza del personaggio e al
tempo stesso il peso di una perdita irrimediabile, che solo la
memoria, tenuta viva in città proprio tra le pareti bianche di
quella sala, oltre che attraverso le iniziative della fondazione a
lui intitolata, può alleviare.
Due i punti salienti della storia
rievocata dalle immagini esposte: il primo è quello che potremmo
definire il momento iniziale della "seconda vita" di Gatto
a Salerno, quando cioè, in seguito a un appello a mezzo stampa di
Bruno Fontana, Antonio Castaldi e dello stesso Schiavone, fu
insignito della medaglia d'oro dal sindaco Alfonso Menna, ottenendo
così il giusto riconoscimento dei suoi ragguardevoli meriti
artistici; il secondo, in quanto lo vide protagonista nella doppia
veste di poeta e pittore, rappresenta il momento forse più
importante di quella breve ma densa vicenda, ovvero la personale di
Gatto tenutasi nell'aprile del 1970 in occasione della presentazione
del volume Rime di viaggio per la terra dipinta (Arnoldo
Mondadori, 1969), corredato di cento tempere: un'opera che riuniva le
due principali forme di espressione di un artista e letterato
poliedrico, poeta in tutto, oltre che nella poesia, come ha
sottolineato lo scrittore e giornalista Francesco De Core nel suo
intervento all'inaugurazione della mostra.
Negli anni che seguirono quel simbolico
ricongiungimento tra il "poeta con la valigia" e la sua
città, già legata per sempre a lui per aver ispirato molti dei suoi
versi fin dagli esordi, oltre che attraverso i ricordi e gli affetti
familiari, si determinarono le premesse del suo contributo concreto e
continuo alla vita culturale salernitana, tramite il sodalizio umano
e culturale con Lelio Schiavone. La consapevolezza della validità
del suo proposito di aprire una galleria destinata a divenire un
luogo d'elezione per generazioni di studiosi e estimatori d'arte,
spinse Gatto, dopo aver tenuto a battesimo, nel 1968, la nuova
iniziativa culturale e imprenditoriale (a lui si deve, tra l'altro,
la scelta del nome), a rendere meglio partecipe il pubblico
salernitano di quanto di meglio si andava allora proponendo in Italia
e non solo, attraverso i testi critici che accompagnavano le mostre,
oltre che assicurando la sua assidua presenza ai vernissages e nella
vita di quel cenacolo di intellettuali noti come "Gli Amici del
Catalogo". Non a caso il poeta volle paragonarli a un manipolo
di cavalieri, votati all'amore e alla custodia di opere d'arte «belle
come le donne».