mercoledì 16 aprile 2014

Tra la storia e la memoria


Antonella Pagnotta, "La Radura".
Antonella Pagnotta, "La Radura".
(Foto: A. Fiore)


Pasquale Napolitano, "Appunti per uno spazio in cinque tempi".
Pasquale Napolitano,
"Appunti per uno spazio in cinque tempi".
(Foto: A. Fiore)
Lucio Afeltra, "Da sere... orto".
Lucio Afeltra, "Da sere... orto".
(Foto: A. Fiore)
Antonella Gorga, "No" - Senza titolo.
Antonella Gorga, "No" - Senza titolo.
(Foto: A. Fiore)
Dario Di Sessa, "Tramonto" - "Ombrellone" - "Licosa".
Dario Di Sessa,
"Tramonto" - "Ombrellone" - "Licosa".
(Foto: A. Fiore)
Vittorio Pannone, "Tabularasa".
Vittorio Pannone, "Tabularasa".
(Foto: A. Fiore)
Angelo Marra, "Cara mamma".
Angelo Marra,
"Cara mamma".
(Foto: A. Fiore)












Di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 14 aprile 2014, p. 12.]
A un secolo dallo scoppio della Grande Guerra, otto artisti sono stati invitati dal critico d'arte Marcello Francolini a indagare l'inconscio collettivo per indurre il pubblico a riflettere sui possibili ricorsi di quel fatale 1914 che sconvolse l'Europa e non solo. La collettiva allestita nella Pinacoteca Provinciale di Salerno in collaborazione con la Fornace Falcone invita a reinterpretare il modo di concepire l'esserci, l'essere nel mondo. Per Francolini e gli otto artisti in mostra «non è con le labili barriere d’una presunta scientificità o d’una presunta logicità degli eventi o dei giudizi, che l’uomo potrà difendersi dall’assalto dell’irrazionale, dell’onirico, dell’inconscio; anzi è accettando la condizione di instabilità e indeterminatezza, che potrà farsi strada una concezione del mondo che attinga maggiore forza e maggiore chiarezza proprio dalla constatazione del potere di “un pensiero per immagini”». Sono state dunque formulate otto proposte di “mediazione possibile” tra storia e vita, memoria e percezione, che potrebbero essere riferite a due filoni principali.
Il rischio di perdere il senso del mondo o la percezione di sé – e l'invito implicito a evitare tale perdita – è il tema che accomuna le opere proposte da Antonella Pagnotta, Pasquale Napolitano e Lucio Afeltra. “La radura” di Pagnotta è in realtà un non-luogo, individuato mediante la dimensione contraddittoria di una “disfunzione prospettica”, che induce l'osservatore a concentrarsi sull'unica certezza: il corpo, rappresentato dall'enigmatica figura, incastonata tra quinte illusorie al centro del dipinto. Quanto sia facile intraprendere il percorso contrario, lasciarsi illudere dal fascino della tecnologia a discapito della percezione della dimensione umana, lo dimostra la fantasmagoria di luci della videoinstallazione di Napolitano (“Appunti per uno spazio in cinque tempi”), mentre il grande pannello polimaterico di Afeltra (“Da sere... orto”) rappresenta un disperato tentativo di aggrapparsi al reale, a una ordinarietà agognata ma sfuggente, la cui persistenza, nonostante tutto, si manifesta con decisione nelle immagini di Antonella Gorga e in quelle, immediate ma non banali, di Dario di Sessa.
Altro tema fondamentale è la memoria. Se è vero che la storia la (ri-)scrivono i vincitori, anche il vissuto di coloro che sono stati coinvolti a vario titolo dagli eventi fonda la sua integrità su equilibri precari. È questo il senso di “Tabularasa” di Vittorio Pannone. Il carattere monumentale del segno viene contraddetto dallo stesso materiale con il quale è realizzato: nel supporto di cartone si intravede la vertigine dell'effimero, dell'appoggio malfermo. Finché il ricordo dura, occorre adoperarsi tuttavia affinché superi le barriere innalzate per superare il lutto e diventi utilizzabile, a beneficio dei sopravvissuti e dei posteri; magari facendo ricorso a qualche espediente, che ne attenui il potenziale ritraumatizzante. Le installazioni di Angelo Marra, quasi dei totem atti a rappresentare due aspetti della tragicità della guerra (“Cara mamma” e “La miseria più nera”), sembrano guardare al dolore con distacco; a esse fanno da controcanto i tre dipinti su cartone dello stesso autore (“Poi la guerra è finita”, “Un angelo al buio”, “Senza titolo”), mediante i quali egli tenta invece di affrontare l'indicibile, lasciando fluire sensazioni e ricordi attraverso segni apparentemente poco organizzati, quasi infantili: è una sfida alle false certezze, che preludono alle peggiori avventure. Nelle immagini fotografiche di Pio Peruzzini, invece, la memoria storica di un tratto paesaggistico simbolico – le doline del Carso – veicolata attraverso la morfologia organica – gli occhi di pesce – si trasforma in monito.
La mostra sarà visitabile fino al 30 aprile 2014 dal martedì alla domenica, dalle 9:00 alle 19:45.

Pio Peruzzini, "Engraulis Encrasicolus".
Pio Peruzzini, "Engraulis Encrasicolus".
(Foto: A. Fiore)

venerdì 11 aprile 2014

L'arte cucita di Virginia Franceschi

Di Aristide Fiore
Virginia Franceschi tra le sue opere.
Virginia Franceschi tra le sue opere.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 6 aprile 2014, p. 9.]
La definizione di un nuovo rapporto tra arte, spazio e ambiente è lo scopo della ricerca di Virginia Franceschi, i cui traguardi più recenti sono esemplificati nella mostra Punti di Sospensione, visitabile a partire da venerdì 4 aprile 2014 a Salerno, presso Linee Contemporanee, in collaborazione con la Fornace Falcone.
Il tratto comune dell'intera produzione artistica di Franceschi è l'unione: di materiali, culture, poetiche e, in definitiva, anche di persone. Grande esperta di cucito, concepisce le sue composizioni mediante l'accostamento di tasselli colorati in tessuto di vario aspetto e consistenza (cotone, lino, seta ecc.), spesso sfilati o arricchiti da ricami e rifiniti con l’aggiunta di elementi diversi: cordoncini, fili, nastri, frammenti di ceramica, bottoni, paillettes; materiali raccolti e riutilizzati efficacemente. Così come i tessuti, scelti accuratamente dall'artista tra le antiche stoffe di famiglia e nei mercatini dell’usato o durante i suoi viaggi in Francia, in Turchia, in Marocco, in Uzbekistan e, ultimamente, in Etiopia, dove, ospite di una missione cattolica, ha insegnato alle donne i rituali poetici del cucito, attività svolta da sempre esclusivamente dagli uomini e ritenuta una semplice abitudine, connotata da una certa ripetitività. Il risultato di tutte queste esperienze combina la poetica dadaista dei “ready-made”, ovvero la riconversione di oggetti di uso quotidiano in opera d’arte, e degli “objets trouves” con la scultura cinetica inaugurata dai “mobiles”, le sculture mobili di Alexander Calder. Le sospensioni sensibili di Virginia Franceschi, realizzate con rami contorti recuperati sulle spiagge del Cilento, insieme a bottiglie di plastica, giocattoli rotti, reti metalliche e altri materiali d'ogni genere trasportati dal mare, coniugano la critica del ciclo economico basato sul consumismo all'invito all'adozione di stili di vita sostenibili, espresso dalla rivalutazione di oggetti scartati e rafforzato dal riferimento materiale e estetico a culture e civiltà “altre”, offerte implicitamente come esempio, che sono rappresentate dai tessuti di provenienza esotica. Si inserisce pienamente in questo filone la nuova serie di cuscini, realizzati con fantasiose stoffe di provenienza orientale e rifiniti con decorazioni e interventi artistici, che in questo allestimento, curato da Maria Giovanna Sessa, sono sospesi in colorati grappoli oscillanti sui sofisticati divani dello show room. Alcuni di essi, impreziositi da accurati ricami, sono opera di Carla Oliva, artista dell’ago e membro del laboratorio di cucito creativo “Agoscrittura”, presso il quale Virginia Franceschi riunisce donne accomunate dalla passione per questa disciplina, la cui pratica riesce a sortire anche effetti benefici e perfino terapeutici.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 26 aprile 2014, tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.00.

giovedì 10 aprile 2014

Apologia della superficie

Di Aristide Fiore
Alcune opere esposte.
[Pubblicato su Le cronache del salernitano, 3 aprile 2014, p. 17.]
«Essere apparentemente lieti mentre l’animo brucia ferocemente e affidare a forme profughe il verbo futuro di ogni racconto possibile». Così FrancescoTadini, curatore, insieme a Melina Scalise e Antonello Tolve, di “Apologia della superficie”, la personale di Ernesto Terlizzi allestita a Milano, presso lo Spazio Tadini, definisce il carattere di questa mostra. Aperta fino al 18 aprile 2014, è composta da trenta opere, tutte realizzate su carta thailandese kozo martellata e risalenti al 2013, tranne "In volo", che è del 2014: in quest'ultimo lavoro, composto da sei fogli, come afferma lo stesso autore, «aleggia il vento della Speranza per centinaia di profughi tesi a costruire un Sogno. Un Sogno che spesso s'infrange, sommerso nel profondo silenzio del mare». Va notato, in proposito, che il riferimento all'elemento liquido, se non proprio al mare, è frequente in questa selezione. Terlizzi ha sempre dimostrato una grande sensibilità verso le tematiche relative alle emergenze umanitarie, che si riflette spesso sia nelle sue opere sia nella sua attività espositiva: già invitato presso la galleria milanese nel 2011, ha aderito, due anni dopo, al progetto “Save My Dream”, una collettiva che Spazio Tadini ha dedicato agli immigrati periti nel tentativo di raggiungere le coste italiane. Per espressa volontà di Francesco Tadini, figlio del maestro Emilio, scomparso da dodici anni, nel luogo che fu il suo studio, ora trasformato in centro d'arte e cultura, si rinnova idealmente un legame improntato sulla stima reciproca.
Alcune opere esposte.
Secondo Melina Scalise, l'arte di Terlizzi oltrepassa l'ambito dell'astrattismo, nel quale, a prima vista, si sarebbe tentati di collocarla. Le immagini rappresentate su queste carte superano la bidimensionalità, proponendosi come veri e propri oggetti, che si offrono sia alla vista, mediante l'accurata scansione di piani, luci e ombre ai quali è spesso impresso un dinamismo di impronta futurista, sia al tatto, attraverso la ruvidezza della carta fatta a mano. È dunque proprio al supporto delle immagini, in questi fogli, che viene affidato il compito di conservare quel rapporto «tra la fisicità irriducibile della materia e la misura costruttiva del disegno», individuato da Stefania Zuliani, il quale altrove si basava fondamentalmente sull'abbinamento fra segno grafico e inserti polimaterici. Come nota Antonello Tolve, in uno dei testi che accompagnano il catalogo, Terlizzi, il cui approccio si basa sull'eclettismo stilistico e grammaticale, ha elaborato un vero e proprio liguaggio, costruito attraverso un processo di decostruzione dell'immagine dal quale sono strati ottenuti elementi naturali trasfigurati, che assumono il ruolo di «unità elementari prive di significato … il cui valore è dato per differenze posizionali e opposizionali all’interno di un contesto sistemico» (secondo la definizione di Filiberto Menna). Ne risulta – sostiene ancora Tolve – la rappresentazione di «una natura artificializzata con lo scopo di creare un reale immaginario», più evocata, servendosi di pochi elementi, che descritta.

La mostra è visitabile dal martedì al sabato, dalle 15,30 alle 19,00 o per appuntamento.