venerdì 14 giugno 2013

Una stagione a tutto tondo



Balsamo, De Luca, Guerra.
Balsamo, De Luca, Guerra (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, martedì 11 giugno 2013, p. 38.]

Il Teatro Municipale “Giuseppe Verdi” offrirà una stagione teatrale densa, ricca e adeguata alle aspettative. Lo ha annunciato ieri l’Assessore alla Cultura e Università del Comune di Salerno Ermanno Guerra, unitamenteal Vice Ministro di Infrastrutture e Trasporti e Sindaco di Salerno Vincenzo De Luca e il Direttore del Teatro Pubblico Campano Alfredo Balsamo. A quest'ultimo è stato riservato il compito di illustrare il programma. Si comincia con Toni Servillo. L'attore ha deciso di partire proprio da Salerno col suo nuovo spettacolo dedicato alla drammaturgia napoletana: “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo, del quale lo stesso Servillo ha curato anche la regia, andrà in scena dal 17 al 20 ottobre. Dal 7 al 10 novembre sarà la volta di Francesco Favino, anch'egli in veste di attore e regista (con Paolo Sassanelli), che presenterà “Servo per due”, un libero adattamento di “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. Lo spettacolo è allestito in collaborazione col Gruppo Danny Rose e unisce teatro, musica e canzone. L'appuntamento col teatro classico sarà affidato a Maria Paiato, che dal 14 al 17 novembre interpreterà la “Medea” di Seneca, una produzione della Fondazione Salerno Contemporanea. Dal 9 al 12 gennaio l'Orchestra di Piazza Vittorio proporrà “Il Flauto magico”, ispirato all'opera omonima di W.A. Mozart: uno spettacolo completo che incontrerà certamente i favori del pubblico. Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti saranno le interpreti di “La Scena” dal 23 al 26 gennaio: sentimenti femminili e pulsioni, rabbie e fragilità maschili a confronto; testo e regia di Cristina Comencini. Luca Barbareschi riporterà invece sulle scene “Il discorso del re”, una commedia di David Seidler ispirata alla vita di Giorgio VI d'Inghilterra, che recentemente ha riscosso un grande successo anche nella sua versione cinematografica e sarà interpretata, oltre allo stesso Barbareschi, da Filippo Dini (dal 30 gennaio al 2 febbraio). Con “ITIS Galileo” (dal 13 al 16 febbraio) Marco Paolini e Francesco Niccolini indagano sulla figura del padre della scienza moderna: un'occasione per riflettere sui rapporti tra scienza e fede, ragione e superstizione in un'epoca come la nostra, segnata da incertezze e delusioni. Un altro successo teatrale e cinematografico, il musical “Frankenstein Junior” di Mel Brooks, sarà interpretato da Giampiero Ingrassia dal 27 febbraio al 2 marzo. Rimanendo in ambito musicale, dal 13 al 16 maggio il grande Domenico Modugno sarà ricordato da Beppe Fiorello in “Penso che un sogno così”, scritto con Vittorio Moroni, mentre un classico moderno, “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller interpretato da Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini, chiuderà la stagione teatrale (dal 27 al 30 marzo). 

Infine gli eventi fuori abbonamento: Pippo Delbono con “Orchidee” (2 e 3 novembre); Ruggero Cappuccio con “Paolo Borsellino essendo stato” (8 marzo) e l'adattamento delle “Operette morali” di Giacomo Leopardi, con Renato Carpentieri e Paolo Graziosi, regia di Mario Martone (21, 22 e 23 marzo). Si tratta di una programmazione di alto livello, degna di una città europea. Lo ha sottolineato il Sindaco, che unendo alla grande soddisfazione una nota di rammarico, ha precisato che la nuova offerta teatrale del “Verdi” è dovuta unicamente agli sforzi dell'amministrazione comunale, dal momento che i sessanta milioni di fondi europei per la cultura stanziati dalla Regione Campania sono stati destinati a eventi che non riguardano Salerno. Nonostante ciò, si è ritenuto di non privare la città di uno dei suoi fiori all'occhiello e allo stesso tempo si è deciso di favorire la fruizione del teatro con la riduzione di 20 € del prezzo degli abbonamenti, i quali potranno essere rinnovati da martedì 18 giugno a sabato 6 luglio (esclusi i festivi) usufruendo del diritto di prelazione. I nuovi abbonamenti potranno invece essere richiesti a partire da martedì 9 luglio. 

Peppe Iannicelli tornerà a condurre “Giù la maschera”, la serie di incontri coi protagonisti della stagione di prosa, organizzati in collaborazione con l'associazione Amici del Teatro Verdi e aperti a tutti.

L'arte di Giovanni Tesauro


[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 5 giugno 2013, p. 10.]
L'arte e il design contemporanei si incontrano a Salerno in un contesto eccezionale. Giovedì 6 giugno le opere di Giovanni Tesauro, nell'allestimento curato dalla Galleria d'arte Il Catalogo in occasione del lancio della nuova Serie 3 Gran Turismo, saranno esposte presso la concessionaria esclusiva BMW, in via Terre Risaie 10. Una scelta di opere dell'artista salernitano, nelle quali è protagonista l'automobile, sarà la cornice prestigiosa dell'evento. I visitatori saranno accolti dalla classe di un pittore di fama internazionale, che ha formulato una tecnica originale capace di catturare lo sguardo. Propone immagini a prima vista sgranate, come proiettate su un muro o riflesse sull'asfalto, senza tuttavia menomare la percezione dell'osservatore, anzi intensificandola. A ben vedere, infatti, quelle superfici tormentate non fanno altro che accentuare il senso della profondità, più di quanto non possano fare i soli schemi prospettici. Dunque lo spazio non è solo rappresentato, è reso presente in quanto occupato da una densa materia pittorica, mista a sabbia o ghiaia. L'impasto granuloso rompe la bidimensionalità del quadro e ne accresce la superficie riflettente, fino a rendere luminosi i toni più cupi, perfino il nero o il blu petrolio, mentre i colori chiari concorrono alla definizione delle zone illuminate e dei dettagli. Bastano poche rapide pennellate per far risaltare automobili scure su strade d'identico colore, persino in scene notturne. Spiccano il bagliore giallastro dei fanali, il rosso acceso delle luci posteriori, le ondulazioni delle carrozzerie, mentre le cromature di radiatori, copriruote e paraurti riflettono la luce di lampioni, insegne e finestre. Sono gli unici segni di vita in scenari urbani o paesaggi che sembrano fatti apposta per essere percorsi solo da veicoli. Negli ampi spazi che ricorrono su queste tele, attraversati e interiorizzati dall'artista durante i suoi viaggi, le rare presenze umane sarebbero poca cosa. Si confonderebbero con lo sfondo fino a sparire, se la loro esistenza non fosse rivelata da quel formicolio di vetture, che solcano rapide le strade extraurbane così come le arterie cittadine o sostano in un tempo indefinito accanto a case, motel, negozi, stazioni di servizio. Sono opere che esplicitano una profonda riflessione sulla realtà contemporanea, vissuta da una società sempre più interconnessa attraverso vie di comunicazione fisiche e virtuali in continuo accrescimento e tuttavia minata dalla solitudine e dall'anonimato. Una possibile risposta andrebbe cercata nello spazio delle relazioni e dell'individualità, del quale proprio l'automobile può rappresentare una sintesi.

Il "Grand Tour" secondo Andrea Troisi. Successo per la mostra all'Archivio di Architettura Contemporanea



Andrea Troisi.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 4 giugno 2013, p. 20.]
 In occasione della manifestazione Salerno porte aperte, dal 25 al 27 maggio l’ Archivio dell’architettura Contemporanea (ex Museo del Falso), in via Porta Elina a Salerno, ha ospitato la mostra “Grand Tour Reloaded”, terza personale di pittura del giovane artista salernitano Andrea Troisi, inaugurata dall'assessore alla Cultura e Università del Comune di Salerno, Ermanno Guerra, e da Matilde Romito.
Tra il XVII e il XIX secolo, i giovani aristocratici erano soliti completare la loro educazione intraprendendo il Grand Tour, un viaggio di formazione attraverso l’Europa, che comprendeva i centri della classicità, Roma ed Atene, e in seguito, in Italia, anche Napoli, Venezia e Firenze, senza trascurare gli scavi di Pompei ed Ercolano. Troisi, ricollegandosi a quella tradizione, ha immaginato un itinerario adatto ai tempi, che avendo Salerno come punto di partenza e arrivo, alle grandi capitali europee affianca le mete predilette della cultura giovanile, Ibiza, Barcellona e Amsterdam, fino a includere New York.
Dal punto di vista dell'arte, il Grand Tour è indissolubilmente legato al vedutismo, al bozzetto e alla ritrattistica. E sono proprio questi i soggetti filtrati dalla visione dell'artista: edifici storici, monumenti, skyline delle città principali, ma anche aspetti del costume e della società, come nel caso del DC-10, una famosa discoteca di Ibiza. L'allestimento consta di sessantatré opere, una per ogni città, alla quale sono associati alcuni ritratti di amici, familiari e conoscenti, che hanno un rapporto reale o almeno ideale con quel luogo. Allievo di Virginio Quarta, Troisi ha indirizzato il suo stile realistico, inizialmente orientato alla classicità, come mostrano i lavori esposti nel 2012 (“I luoghi del cuore”), verso l'estetica pop, che però già caratterizzava la mostra “Facebook – immagini del profilo”, del 2011. Un gusto che si riflette anche negli stessi soggetti, come lo slogan “I amsterdam”, riprodotto nell'installazione itinerante che ormai è entrata a far parte del paesaggio della città olandese. L'uso del colore è limitato al ruolo di semplice complemento del segno grafico, talvolta per evidenziare qualche dettaglio, come la pallida luce della luna riflessa sul Tamigi davanti all'abbazia di Westminster, oppure escludendolo del tutto, come nel caso della porta di Brandeburgo a Berlino. Analogamente i ritratti, spesso eseguiti usando solo il nero, hanno l'aspetto di istantanee riprodotte “al tratto”, senza mezzi toni. I volti di gente comune, sebbene non priva di un marcata individualità, diventano icone degli stili di vita rappresentati dalle città, evocate attraverso singoli elementi caratteristici: la statua della Libertà sullo sfondo di Manhattan per New York, la Sagrada Familia per Barcellona, La Tour Eiffel per Parigi, Il Colosseo per Roma, mentre Salerno è rappresentata dal Castello Di Arechi, peraltro citato anche da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”.
La sezione dedicata a Amsterdam.

Pietro Loffredo tra corvi e corni al castello di Arechi



[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 18 maggio 2013, p. 21.]
Partita ieri la nuova stagione di eventi organizzati dalla Provincia di Salerno, con la mostra “Talisman” di Pietro Loffredo, patrocinata dalla Provincia di Salerno, collocata nella suggestiva cornice del Castello di Arechi, grazie alla disponibilità della direzione dei musei e biblioteche provinciali. Come suggerisce il titolo, l'allestimento curato dall'artista con Erminia Pellecchia e Tommaso Pirretti è dedicato all'uso degli amuleti nelle diverse culture e rientra in una più ampia ricerca, che intende approfondire il rapporto dell'uomo col mondoe i vari espedienti escogitati per affrontare l'incertezza. È articolato secondo un percorso scandito da sagome dipinte di corni coronati, che guidano il visitatore alla scoperta di arazzi e installazioni. La scelta del contesto non è affatto casuale, ma scaturisce dall'intenzione di sottolineare la persistenza, in un'epoca caratterizzata da un diffuso scetticismo spesso solo di facciata, di credenze e usanze che conservano immutato il loro fascino e il loro potere rassicurante. L'interpretazione di Loffredo gioca sulla similitudine tra la sagoma sinuosa del corno e quella del pesce, tipico portafortuna delle popolazioni nordafricane. Il confronto con la cultura nordica sfocia invece in un rapporto dialettico tra il corvo, animale apotropaico presso i popoli germanici, e il corno, che vede quest'ultimo soccombere in un'ipotetica lotta con l'uccello, quasi a sottolineare la condizione di inferiorità della cultura meridionale, solare e incline all'irrazionalità, rispetto alla fredda razionalità e al cinico opportunismo dell'animale. Tale squilibrio è però destinato adannullarsi: la mentalità calcolatrice non può bastare a se stessa. Occorrerebbe almeno un po' di umanità, magari veicolata tramitel'apporto beneaugurale dei corni, che, sebbene insufficienti a fronteggiare tutte le difficoltà, potrebbero almeno stimolare il cambiamento e consentire alle ali nere dei “guardiani delle coscienze”, le scure sagome che rappresentano gli sfortunati e i perseguitati, di aprirsi alla speranza, senza dimenticare però la lezione del corvo: ognuno è artefice della propria fortuna.

Il catalogo della mostra, pubblicato dalla casa editrice d’arte Paparo di Napoli, sarà presentato in occasione della chiusura dell'esposizione, il 25 giugno alle 19.00, con un evento spettacolare a cura delle Zampogne di Daltrocanto, dell’Enoteca provinciale e dell’Arechi servizi. La mostra sarà visitabile dal martedì al sabato, dalle 9.00 alle 19.00, e la domenica, dalle 9.00 alle 18.30. Resterà chiusa il lunedì.

L'arte del Novecento in mostra al Catalogo


Renato Borsato, "Ingresso del mio studio".
Renato Borsato,
"Ingresso del mio studio",
olio su tela (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 18 maggio 2013, p. 20.] 
Sino al 1 giugno la Galleria "Il Catalogo" presenta alcune opere di autori italiani del Novecento. Lelio Schiavone e Antonio Adiletta hanno selezionato per l'occasione olii, disegni e acquerelli di pittori particolarmente apprezzati dal pubblico e dai collezionisti, che rappresentano efficacemente le relazioni artistiche e personali che hanno animato l'attività pluridecennale del celebre spazio espositivo salernitano. Due olii su tela di Renato Borsato (n. 1927): “Ingresso del mio studio”, uno splendido esempio del suo “impressionismo ottimista e propiziatore”, come lo definì Alfonso Gatto, e “San Giovanni e Paolo”, un malinconico scorcio della sua Venezia. Di Enzo Pregno (1898-1972), molto apprezzato da Oskar Kokoschka, che nel 1950 volle andare a trovarlo nel suo studio a Firenze, si può ammirare una natura morta con cocomero, olio su tela. Si accendono dei colori del tramonto i “Pini Rossi” di Rodolfo Ceccotti (n. 1945), che mostrano l'influsso di Constable e di altri grandi autori dell'ottocento, eletti dall'artista come maestri ideali. Renzo Grazzini (1912-1990) è rappresentato da opere che offrono un saggio del suo realismo segnato da accenti espressionistici: “Paese”, olio su tela, “Pescatori” e una natura morta, entrambi olii su compensato. “Paesaggio”, un olio su cartone di Folco Chiti Batelli, dà prova della sua maestria nella rappresentazione di questo soggetto, mentre Antonio Possenti (n. 1933) è presente con una tecnica mista su carta di carattere ironico e surreale. La pittura di Lorenzo Giandotti (n. 1935), è rappresentata una delle sue famose porte a vetri, capaci di evocare la presenza umana in un'atmosfera sospesa. Gastone Breddo (1915-1991), viene celebrato attraverso una delle sue nature morte dall’impianto compositivo post-cubista. Infine alcuni dipinti a olio di Sergio Scatizzi, sia su tavola sia su carta francese.
Per quanto riguarda il disegno, la “Figura”, pennarello su carta, di Guido Gambone (1909-1969), reca il segno inconfondibile del maestro avellinese, che contribuì a proiettare nel mondo della grande arte la ceramica vietrese, ed è accompagnata da un'altra “Figura”, matita su carta, di Lorenzo Viani (1882-1936).
Renzo Grazzini, "Paese".
Renzo Grazzini, "Paese", olio su tela.
(Foto: A. Fiore).
Fra gli acquerelli, si segnalano “Ragazza” di Mario Marcucci (1910-1992) e una luminosa natura morta del pistoiese Mirando Iacomelli (1929-2007).
In definitiva, si tratta di un imperdibile appuntamento con la grande pittura italiana, che precede la stagione estiva, durante la quale la galleria sarà aperta al pubblico solo in orario pomeridiano, in attesa di un altro allestimento di elevata qualità, previsto per l'autunno.

Le "Cariatidi" di Franco Massanova al MARTE di Cava de' Tirreni


[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 9 maggio 2013, p. 14.]
Evocano un'atmosfera primordiale inalterabile, le “Cariatidi” di Franco Massanova: i due polittici presentati venerdì al MARTE di Cava dei Tirreni, ciascuno dei quali costituito da quattro pannelli (tecnica mistica su tela), emanano il fascino selvaggio di volumi aggettanti da una massa rocciosa. Il vigore di questi muscoli di pietra è esaltato dalla tensione trasmessa dalla combinazione di profonde venature e sporgenze arrotondate, qua e là illuminate da colpi di luce o ravvivate da coloriture che tuttavia permangono nella gamma fredda, propria delle coltri di muschio o degli affioramenti di ossidi spesso presenti lungo le pareti di forre e caverne. Ciò lascia supporre legittimamente che, nel caso in questione, il cuore segreto del Cilento, terra d'origine dell'artista, possa averne ispirato l'opera, sia pure entro i canoni della progressiva, sempre più spinta astrazione incentrata sul rigore formale, che gli sono propri. Come si addice alle canèfore, queste mute presenze mostrano una forza composta, che è più slancio che sforzo, più anelito all'infinito che ostentazione di potenza. Non è dato sapere, infatti, quali masse poggino su queste eleganti nervature; né dove si trovino le loro estremità, sebbene lo si possa intuire, grazie all'estrema cura delle proporzioni che traspare da questi lavori. Pregne di senso, si stagliano su sfondi indefinibili, già paghe della propria esistenza, o tutt'al più si limitano a solennizzare misteriose soglie, appena suggerite, che si spalancano su una tenebra insondabile e devono forse la loro importanza unicamente alla funzione liminale.

Completano l'esposizione dodici opere esemplificative della produzione più recente, collocate al piano superiore, nella cui concezione l'inventiva di Massanova si è esercitata su forme raggomitolate, compatte, articolate da rapidi segni molto marcati, che danno luogo a composizioni monocrome o basate su delicati accostamenti cromatici che illuminano la superficie grazie a un sottile gioco di trasparenze. Ed è proprio il binomio segno-colore, con la rispettiva ripartizione di ruoli – l'organizzazione dello spazio affidata alla linea, la profondità resa attraverso il colore – , che lega fra loro questi ultimi lavori, culminanti proprio con la felice sintesi dei due polittici, nei quali i risultati della più recente ricerca sul colore si sposano perfettamente con quelli delle lunghe esplorazioni delle potenzialità del nero e delle ombre.
La mostra, che prosegue la fortunata serie di iniziative promosse dalla Fornace Falcone, potrà essere visitata fino al 19 maggio, dal martedì alla domenica, negli orari d'apertura della struttura.

Le persone di Chicca Regalino


[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 9 maggio 2013, p. 14.]
Le persone” di Chicca Regalino, inaugurata sabato, presso la sede dell'associazione culturale Art Tre, nel Vicolo San Bonosio di Salerno, e aperta al pubblico anche domenica e lunedì, ha dato il via al ciclo di personali di pittura, scultura e grafica intitolato “Cinque storie di sotto”, a cura di Mario Cerone, che si avvicenderanno con cadenza settimanale e ruotano intorno al tema della morte dell'arte, immaginata dal curatore come esito di un crimine efferato. Si tratta di una provocazione che si inserisce nell'annosa questione posta da Hegel, secondo il quale l'arte non avrebbe più ragion d'essere, in quanto inadatta a pervenire a una forma di conoscenza completa; a differenza della filosofia, che perciò ne renderebbe legittima la fine, il superamento. Di morte vera e propria iniziarono però a parlare, molto più tardi, i dadaisti e poi altri importanti esponenti dell'arte contemporanea, fino ad arrivare a un articolo di Enrico Baj, “Morte dell'arte e sopravvivenza del critico” (1992), nel quale il prestigioso protagonista della scena contemporanea lamentava la paradossale esclusione degli artisti dal dibattito sull'arte. Una congiura posta in atto, secondo Baj, dalla figura del critico, il quale, «pugnalati alla schiena sia l'arte che gli artisti, ci campa sopra arroccato in quella fetta del sistema che sono le istituzioni e le strutture delle Antichità e Belle Arti». Nel nostro caso tuttavia il colpevole resta nell'ombra.
È scesa da poco la sera. Una sagoma femminile disegnata col gesso sul pavimento della prima sala, con accanto una chiazza rossa, accoglie gli investigatori (il pubblico). La testimonianza di Chicca Regalino parte da un'ipotetica ricostruzione del delitto, resa inizialmente attraverso un trittico sul tema della mano insanguinata: quella dell'assassino, appena accennata, quasi invisibile, in quanto appartenente a un attante ancora privo di identità. Nelle prime due immagini cerca di lavare via il sangue della vittima con un getto d'acqua, la cui violenza è sottolineata da graffi impressi nella superficie pittorica. Nel terzo quadro, la stessa densa materia scarlatta circonda un'altra mano, stavolta ben definita, che sembrerebbe appartenere alla vittima: è aperta, col palmo rivolto verso l'alto, fissata in un gesto che è insieme di resa e di disperazione.
Dodici ritratti a olio e un curioso divertissement con calici in bilico su un vassoio costituiscono, nell'altra sala, la seconda parte dell'esposizione. Sono opere caratterizzate da un marcato realismo, frutto della lunga esperienza dell'artista nella riproduzione di quadri d'epoca, realizzate però facendo ricorso all'action painting, uno dei tratti distintivi del suo approccio eclettico, che in questo caso si manifesta nella particolare finitura dei quadri, ottenuta versando del flatting sulla tela non completamente asciugata, in seguito mossa in modo da distribuire la vernice su tutta la superficie, fino a conferire all'immagine una densa patina trasparente, raggrumata, non uniforme, che gli fa assumere un aspetto fluido. I personaggi sono rappresentati in atteggiamenti inconsapevoli o con espressioni indotte dagli stati d'animo suscitati da una conversazione sul proprio vissuto. Si riconoscono, fra gli altri, un autoritratto, il profilo del curatore della mostra e un pensoso Enzo Rosco, il presidente di Art Tre; ma in questo contesto la loro identità ha un'importanza secondaria. Rappresentano “le persone”, una folla anonima, che riempie ogni luogo e non è esattamente da nessuna parte. Inconsapevolmente coordinata come un banco di pesci o uno stormo di uccelli, innumerevole come le stelle, si distingue solo per le esperienze che a ciascuno tocca di vivere. Dei dodici personaggi coinvolti conta soltanto il ruolo, quello di testimoni, che si sono trovati faccia a faccia con l'assassino e nell'ipotetico verbale, redatto dallo stesso Cerone, lo descrivono come «apatico, distaccato, freddo. Non era uno di noi, non aveva “Anima” (l'abbiamo sentito) ed è per questo che non ha lasciato tracce, non ha proiettato alcuna ombra».
È tutto, per ora. Se ne saprà di più al prossimo appuntamento.

Visioni. Olga Marciano e Giuseppe Gorga



La conferenza stampa: Olga Marciano, Enzo Maraio,  Giuseppe Gorga e Annalisa Santamaria.
La conferenza stampa: Olga Marciano, Enzo Maraio,
Giuseppe Gorga e Annalisa Santamaria  (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su Roma Cronaca di Salerno e provincia, 5 maggio 2013, p. 27.]
La mostra "Buona fortuna", doppia personale di pittura di Olga Marciano e Giuseppe Gorga, è stata presentata ieri nel corso di una conferenza stampa presso l'Info Point Turistico di Corso Vittorio Emanuele. All'incontro con la stampa hanno preso parte l'Assessore al Turismo Enzo Maraio, Olga Marciano, Giuseppe Gorga e Annalisa Santamaria. La mostra sarà inaugurata domenica 5 maggio alle 19,30 presso l'Archivio dell'Architettura Contemporanea (ex Museo del Falso), in via Porta Elina. Nel corso della serata sarà anche presentato il volume "Il taccuino della fortuna" di Annalisa Santamaria, che comprende cinque racconti e alcuni “brevi pensieri”, illustrati con le riproduzioni delle opere dei due artisti.

Alcune opere di Olga Marciano in mostra.
Alcune opere di Olga Marciano in mostra (foto: A. Fiore).
L'iniziativa, fondata su un sodalizio consolidato attraverso ripetute collaborazioni con cadenza annuale, nasce dalla difficile fase storica che il nostro paese sta attraversando. In tal modo si intende indirizzare un messaggio di speranza e un buon auspicio per il futuro. 
Con i suoi olii su tavola, di formato contenuto rispetto alla sua produzione consueta, Olga Marciano – che per l'occasione indossava una simpatica t-shirt su cui è riprodotto un suo dipinto dedicato all'evento – si è ispirata all'iconografia tradizionale, scegliendo di interpretare il tema attraverso delle figure femminili, in un ciclo di opere accomunate da una cromia improntata su toni terrei.
Alcune opere di Giuseppe Gorga in mostra.
Alcune opere di Giuseppe Gorga in mostra (foto: A. Fiore).
Opposta dal punto di vista coloristico, ma altrettanto connotata da coerenza formale, la serie di acrilici presentata da Giuseppe Gorga: il colore dominante dei suoi dipinti è il rosso, che ravviva rappresentazioni simboliche spesso oniriche – dall'immancabile peperoncino al cielo infuocato su una città sorvolata dall'immagine replicata della Fortuna – trasmettendo un senso di positività. «L'arte – spiega Gorga – è il mezzo più immediato per trasmettere l'esito di un momento di riflessione». Molti spunti per meditare, magari allegramente, sul rapporto tra merito e fortuna sono offerti dai racconti brevi di Annalisa Santamaria. La scrittrice ha opportunamente aggiunto alla raccolta interessanti informazioni sugli amuleti più usati, che riguardano soprattutto la loro origine e il loro significato.
L'esposizione resterà aperta ogni giorno, fino all'11 maggio, dalle 17.30 alle 20.30. Contribuirà certamente ad arricchire la serie di riscontri positivi che, come affermato dall'Assessore Maraio, premiano il frequente utilizzo dello spazio espositivo di via Porta Elina, a beneficio della cittadinanza e dei turisti. L'allestimento sarà articolato secondo un “percorso interattivo sulle diverse raffigurazioni della fortuna”. Nel maggiore coinvolgimento dei visitatori sembrerebbe di poter cogliere, oltre all'invito a uscire dal ruolo di semplice osservatore, che, pur non essendo affatto passivo, è senz'altro limitato, un ammonimento implicito: la fortuna va aiutata.

Il segno di Terlizzi torna a Ferrara

"Sponde", tecnica mista su tavola con pietra cm 210x92 2013.
"Sponde", tecnica mista su tavola con pietra cm 210x92 2013.

"Le ali della speranza", cm. 73x92 tecnica mista 2013.
"Le ali della speranza", cm. 73x92 tecnica mista 2013.
[Pubblicato su Roma Cronaca di Salerno e provincia, 3 maggio 2013, p. 27.]
Il coronamento di una nuova tappa nella ricerca di un artista di reputazione consolidata costituisce sempre un appuntamento ricco di aspettative, che nel caso in questione non saranno certamente disattese. Dopo il consenso di critica e pubblico riscontrato in occasione della collettiva “Angeli contemporanei”, ennesima riconferma del successo che ha accompagnato la sua carriera pluridecennale, Ernesto Terlizzi torna a Ferrara con “Derive”. La personale del Maestro originario di Angri, promossa dall'Accademia d’Arte Città di Ferrara, sarà inaugurata domani alla Galleria del Carbone e resterà aperta fino al 19 maggio. Il tema individuato per il ciclo di opere in mostra – tecniche miste su grandi tavole e su carta – è l'ambiente acquatico, rappresentato soprattutto dal mare, un elemento che affascina sia per come appare sia per ciò che nasconde. In questi nuovissimi lavori, ulteriori prove della sua straordinaria capacità di sposare l'eleganza del reticolo minuzioso, raffinatissimo, tracciato con l'inchiostro di china, e la concretezza della pietra, del legno, dei vari materiali che recupera e include sapientemente nelle sue composizioni, Terlizzi sa evocare la trasparenza e la profondità di un mondo liquido, facendola dialogare con lo slancio liberatorio dell'ala, il segno chiave caratteristico della sua produzione più recente. Sono retaggi di esperienze feconde, come l'arte povera e il post-informale, che hanno scandito il corso della storia contemporanea e che il Nostro ha saputo rielaborare continuamente, fino a sviluppare un linguaggio personalissimo basato sulla contaminazione fra diverse forme espressive. Il tipo di rappresentazione che ne risulta assume la funzione di una narrazione emozionale, che trae forza proprio dal carattere minimalista di queste opere acromatiche, nelle quali l'artista, come nel caso dei suoi celebri disegni degli anni settanta e ottanta, punta soprattutto sul contrasto tra bianco e nero, luce e ombra, qui per nulla attenuato, anzi decisamente esaltato, dalle tenui colorazioni neutre degli inserti polimaterici.
"La danza", cm 25x35 tecnica mista su carta.
"La danza", cm 25x35 tecnica mista su carta.
L'efficace combinazione fra i titoli dei quadri (“Sponde”, “Carretta del mare”, “Fuori dall'acqua”, “Sotto”, “Fondale”...) e il loro intrinseco potere evocativo esprime il coinvolgimento di Terlizzi nelle tante vicende dolorose che si consumano, e troppo spesso si celano, nella sconfinata distesa marina: un sentimento che tuttavia va al di là della spontanea empatia e oltre la denuncia legata alla cronaca, per attingere l'universalità che è propria della grande arte attraverso la meditazione sulla condizione umana. Non manca infatti, nell'interpretazione dell'artista campano, l'intenso slancio lirico ispirato dall'ambientazione delle opere, che si esprime, come scrive Ada Patrizia Fiorillo nel catalogo della mostra, attraverso « un processo di introspezione che accoglie in senso lato il fascino primordiale dell'acqua, la sua forza fecondante e, addentratamente, l'immensità del mare, la sua motilità fluttuante che avvolge, ondivaga, tutto ciò che di organico o di non organico vi è immerso, fino a scorgervi il senso drammatico che lo inquadra nella complicità di un esodo disperato».
Ancora una volta Terlizzi conduce l'osservatore nel suo universo interiore, navigando felicemente tra le due sponde della maestria del segno, propria della maturità, e dell'apertura agli innumerevoli richiami della realtà, indice di una passione inesauribile.
"Carretta del mare", cm. 80x65 tecnica mista 2013.
"Carretta del mare", cm. 80x65 tecnica mista 2013.

Ruggine e Rêverie... La visione dell'abbadono

Alcune opere esposte di Eugenia Savino.
[Pubblicato su Roma Cronaca di Salerno e provincia, 25 aprile 2013, p. 27]

L'abbandono, inteso come cedimento consapevole al flusso del sogno a occhi aperti oppure come condizione di oggetti e luoghi trascurati o perfino dimenticati è il connotato comune delle due mostre fotografiche inaugurate venerdì a Palazzo Genovese (Largo Campo – Salerno): “Rêverie” di Eugenia Savino, a cura di Lucrezia Savino, e “Ruggine” di Luca Scola, a cura di Iole Faggiano.

Il titolo della serie esposta da Eugenia Savino (Parma 1986) si rifà alla poetica della rêverie (fantasticheria) del filosofo francese Gaston Bachelard, intesa come esercizio concreto dell'immaginazione. «La rêverie – ha scritto Bachelard – è lo stato in cui l’io, dimentico in un momento di grazia della propria identità contingente, lascia errare il proprio spirito, si abbandona a ricordi e immagini con una libertà simile a quella del sogno, pur restando tuttavia in stato di veglia». Le diciotto opere esposte da Savino sembrano voler infrangere la stasi propria di questo mezzo espressivo, che di per sé tenderebbe a fissare un particolare attimo, per evocare l'idea di un continuo, illimitato processo immaginifico. Ritraggono figure femminili, spesso diafane, collocate in ambientazioni surreali, per lo più acquatiche. Scrive ancora Bachelard: «è vicino all'acqua che ho meglio compreso che il fantasticare è un universo in espansione, un soffio di odori che fuoriesce dalle cose per mezzo di una persona che sogna.» Sono immagini oniriche, quelle proposte dall'artista parmense, che tuttavia rivendicano lo status di dimensione ideale della nostra esistenza, in quanto, secondo lo studioso dell'immaginario, «la nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee» e solo concedendoci a quella dimensione possiamo sperimentare una forma di libertà inalienabile: «Di quale altra libertà psicologica godiamo oltre a quella di fantasticare? Psicologicamente parlando, è proprio nelle rêveries che siamo degli esseri liberi».

Alcune opere esposte di Eugenia Savino.

Alcune opere esposte di Luca Scola.
Luca Scola (Salerno 1976) espone ventinove opere della serie “Ruggine”: cose e luoghi abbandonati, dicevamo, che tuttavia conservano ancora qualche traccia delle presenze che li hanno toccati o attraversati, oppure vengono riportati in vita dall'artista, che li pone al centro dell'attenzione rivelandone aspetti sconosciuti, magari individuabili proprio nei segni che ne denunciano la decadenza al di là dell'imprescindibile richiamo alla transitorietà; ma è anche in grado di individuare nuovi spunti estetici, se non addirittura delle narrazioni vere e proprie, come nel caso di “Se non ci metterà troppo l'aspetterò tutta la vita”, che partendo dall'incontro casuale di materiali eterogenei in un luogo desolato, acquista un carattere allo stesso tempo ironico e poetico grazie al suggello del titolo, preso in prestito da Oscar Wilde. Altro felice esito della ricerca di Scola è la scoperta di parvenze di vita o di volontà in soggetti che in realtà non ne conservano traccia, come gli esempi spontanei di astrazione geometrica in “Contemplazione” e “Sovrapposizione cromatica” e i colori accesi che animano inaspettatamente le mura di un borgo deserto (“L'atelier”); oppure della vita stessa che si riappropria a poco a poco di luoghi deprivati di qualunque traccia di attività, come la serra invasa dai cespugli in “Anarchia”. Inevitabile, dato il tema, uno sbocco metafisico, in immagini di interni abitati solo da ombre e nelle visioni notturne del vecchio stadio di Colonia; o addirittura mistico, nel bianco intenso di una porta o nel candore della neve che trasfigura il paesaggio di Cesena e in vecchie immagini sacre ormai logore, che sembrano acquistare ulteriore carisma proprio dal disfacimento, dal graduale confondersi con le pareti scrostate (“San Francesco”). Entrambe le splendide mostre si sono concluse ieri con un grande successo di critica e di pubblico.
Alcune opere esposte di Luca Scola.

L'arte di Paolelli al top

Alcune opere esposte.
[Pubblicato su Roma Cronaca di Salerno e provincia, 24 aprile 2013, p. 27.]
La mostra di pittura di Adriano Paolelli, aperta dal 18 aprile presso l'Archivio dell'Architettura Contemporanea di Salerno, presenta una rassegna della sua produzione informale. Nella particolare lettura di Paolelli, il linguaggio informale raggiunge un equilibrio tra astrattismo e figuratività, oscillando tra la libera composizione e il richiamo alla realtà da cui prende le mosse nell'ideazione di queste opere. Le cose osservate, oggetti, nature morte, edifici, paesaggi, offrono lo spunto per composizioni costruite a partire da porzioni di spazio già organizzate, essendo parte del mondo reale, che dei soggetti originari conservano solo una labile traccia. Si tratta, in sostanza, di un linguaggio che si libera dagli schemi tradizionali della rappresentazione, pur non negandone il valore, come mostrano, del resto, i notevoli traguardi raggiunti dall'artista anche in ambito figurativo. Ciò permette di accogliere l'osservatore su un terreno comune, dove la forza espressiva del colore viene pienamente incanalata in un vago senso di familiarità che pervade i dipinti. In quest'ottica Paolelli persegue efficacemente l'immediatezza, opta per un linguaggio chiaro. Non si preoccupa di stabilire un ordine o di fissare la composizione secondo uno schema prestabilito: lascia parlare il colore, mantenendo come unico riferimento ciò che vede; non indulge alla ricerca di un piacevole risultato estetico, che magari renda l'opera più attraente o di facile fruizione, ma si preoccupa, piuttosto, di individuare i rapporti cromatici che meglio si adattino al suo stato d'animo, privilegiando ora la piena potenza evocativa dei colori, ora il bisbiglio sommesso delle tinte smorzate, i contrasti o gli accordi, la netta distinzione dei campi di colore o la loro reciproca contaminazione, in modo da stabilire sempre una consonanza tra le proprie corde interiori e la particolare vibrazione trasmessa dal quadro. L'utilizzo di supporti differenti, dalla carta alla tela – in alcuni casi anche grezza – dalla tavola al compensato, contribuisce alla produzione di una ricca gamma di effetti, che dipendono per esempio dal loro diverso grado di assorbenza o dalla loro consistenza, di modo che la superficie del quadro possa assumere, di volta in volta, un aspetto opaco o lucido, fluido o pastoso, omogeneo o sgranato, netto o sfumato. Di conseguenza, le immagini che ne risultano presentano, a seconda dei casi, connotati differenti, dal nitore di intarsi di pietre dure alla vaghezza di visioni che sembrano affiorare dalla memoria. L'esposizione è visitabile fino a domani dalle 17,00 alle 21,30.

L'evoluzione del colore in Sergio Scatizzi



Alcune opere esposte.
[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 12 aprile 2013, p.26.]
A pochi anni dalla scomparsa, la pittura di Sergio Scatizzi (1918-2009) torna alla Galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta con “Opere scelte”, che ripropone gli olii dell'artista toscano a suggello di una lunga amicizia e collaborazione, le cui origini sono rappresentate simbolicamente da un “Vaso con fiori” del 1956 che incanta per i delicati accordi cromatici: un tema ricorrente nell'opera del Maestro, destinato a riproporsi recando via via i segni di un'evoluzione continua. La vicenda di Scatizzi, ben rappresentata da questa mostra antologica, non è infatti caratterizzata dalla mutazione di temi e soggetti – fiori, frutti, paesaggi toscani, che anzi si ripetono negli anni, sia pure con una connotazione sempre nuova – , ma dalle tracce di un attraversamento mai sterile delle fasi della storia artistica del Novecento, che egli ha saputo vivere riconducendo il portato delle varie esperienze in un discorso coerente.
Scatizzi, “la cui pittura crea natura nell'atto di idearla” (Alfonso Gatto), prese le mosse da una profonda conoscenza della nostra tradizione figurativa. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta si accostò all'informale sviluppando una poetica che alla sensibilità verso la rivelazione della struttura intima della materia, tipica di quel movimento, accostava il piacere di una pittura sensuale, fatta di decisi colpi di spatola e vigorosi impasti di colore che concorrevano, con il loro andamento plastico ora disteso ora tormentato, a una definizione delle forme che in realtà era più suggerita che esplicitata, fino a sfociare, nell'ultimo decennio di attività, nell'esplosione vitale di un “barocco informale”, segnato dall'impeto del gesto e dal trionfo del colore, che aprirono la strada a nuove esperienze come le "Nature metafisiche", tendenti all'astrazione, e le "Carte dipinte", i lavori su carta francese degli anni Novanta, altra felice tappa del suo percorso creativo. Queste ultime opere sono per lo più paesaggi resi, per la peculiarità del materiale utilizzato, con tocchi più lievi e tuttavia sempre conformi allo stile consueto, che si segnalano per la luminosità e i vivaci accostamenti cromatici mediante i quali si sviluppa una successione di quinte capace di trasmettere il senso della dimensione spaziale, della profondità, attraverso una scansione prevalentemente verticale: tra la calma distesa di ampie campiture di colore e il gesto ancora veloce, nervoso, l'ultimo Scatizzi segna lo spazio pittorico rendendolo vivo, abitabile.
La mostra è visitabile fino al 4 maggio, dal martedì al sabato: ore 10,30-12,30; 17,30-20,00.
Alcune opere esposte.

L'isola non trovata... In attesa che finisca la bonaccia. Presentato il n. IV della rivista culturale “GeaArt”

Il tavolo dei relatori.
Il tavolo dei relatori (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 4 aprile 2013, p.27.]
“L'isola non trovata”, l'espressione presa in prestito da una canzone di Francesco Guccini, è il tema del quarto numero della rivista “GeaArt”, bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative, presentato martedì presso la galleria Il Catalogo di Salerno. Sono intervenuti i giornalisti Gigi Casciello e Gabriele Bojano e l’artista Eliana Petrizzi moderati da una brillante Lucia D’Agostino. La rivista diretta da Massimo Bignardi, prodotta a Salerno,  riesce tuttavia ad avere una visione ampia, aperta al panorama nazionale e internazionale. Secondo Gabriele Bojano, rispetto a tante proposte che si sono rivelate effimere, ha il pregio di non essere nata “a dispetto di qualcuno o di qualcosa” e indubbiamente colma un vuoto, in quanto i temi e gli argomenti che affronta non troverebbero spazio analogo sulla stampa locale, che tendenzialmente emargina la cultura e lo spettacolo ed esclude la critica, pressoché assente nei quotidiani salernitani, sebbene da queste colonne forti segnali contrari non siano mai mancati, anzi incoraggiati dalle ampie vedute del suo direttore e dei suoi redattori. Da questo punto di vista “GeaArt” potrebbe costituire un fattore trainante. Secondo Gigi Casciello una proposta culturale è tale se riesce a elevare una comunità. Essa è valida quando riesce a superare il provincialismo. È dello stesso avviso anche Massimo Bignardi, secondo cui l'appartenenza a un luogo non conta: come scrive Marc Augé: “Lo spazio è geometrico, il luogo è antropologico”: il luogo si determina cioè mediante le relazioni. Da questo punto di vista Il catalogo è un “luogo” nel senso pieno, che da quattro decenni contribuisce alla formazione di generazioni di studiosi, intellettuali e persone desiderose di aprire una prospettiva. Ed è per questo che è stato scelto per la presentazione di una rivista che aspira a soddisfare una domanda culturale al di fuori dell'ambito accademico, spesso autoreferenziale e lontano dalla collettività. “GeaArt” non nasce dal desiderio di realizzare qualcosa che manca a Salerno, ma dalla voglia di operare nella cultura con uno sguardo ampio, che non insegua l'internazionalità ma sappia vedere il locale in rapporto col globale, come mostra, proprio in questo numero, il contributo di Attilio Bonadies su Giorgios Seferiádis (in arte Gorgos Seferis), premio Nobel per la poesia nel 1963, che nell'ottobre del 1944, mentre si trovava a Cava dei Tirreni insieme al Governo greco in esilio, scrisse la poesia “Ultima tappa”. Sulla stessa linea procedono gli interventi di tutti i collaboratori della rivista: da Pasquale De Cristofaro, che si occupa di Vsevolod Mejerchol'd e dell'avanguardia teatrale russa, a Gemma Criscuoli, che nelle sue recensioni di spettacoli teatrali tratta con la stessa autorevolezza eventi che hanno luogo lontano dal nostro territorio, ed Elio Di Pace, che firma un servizio dal Festival del Cinema di Berlino. Naturalmente l'intento di abbracciare orizzonti più ampi determina anche l'apertura alla collaborazione di studiosi di altri paesi e comporta una visione che va al di là delle frontiere nazionali, grazie a contributi come quello sul Mali di Eliana Petrizzi, secondo cui trattare il tema del viaggio è un modo di prendersi cura delle cose e del mondo che ci è stato affidato, o la testimonianza di Lucia Caterina e Andrea Manzo sul Museo de “L’Orientale” di Napoli, che custodisce reperti archeologici provenienti da varie aree del mondo. In definitiva, non serve vagheggiare un luogo felice, nel tempo o nello spazio, dove la sete di cultura si possa placare: l'isola non è stata trovata e non bisogna cercarla più. Occorre solo lasciare che il vento nuovo spiri.

Il “ratto d'Europa” secondo Paolo Signorino

[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 27 marzo 2013, p.26.]
Si può ricominciare partendo dalla cultura. L'auspicio attribuito a Jean Monnet potrebbe essere il filo conduttore della XXI Giornata FAI di primavera, in occasione della quale sabato 23 e domenica 24 la Pinacoteca Provinciale ha ospitato la mostra Paolo Signorino per Europa, curata da Laura Del Verme ed Erminia Pellecchia e onorata dalla presenza del Maestro Mario Carotenuto al vernissage.
L’esposizione allestita da Floriana Gigantino occupa due sale della Pinacoteca, la prima delle quali accoglie undici dipinti appartenuti al nucleo pittorico presentato nel 1998 al Parlamento europeo di Strasburgo, in occasione della mostra Quinze portraits de nos littératures, una serie di ritratti di scrittori rappresentativi di ciascuno Stato membro dell'epoca. Il metodo adottato per realizzarli è la “foto-grafia”, come ebbe a definirla Filiberto Menna, ovvero la trasposizione pittorica di immagini fotografiche, già proposta dall'artista nei primi anni Ottanta con un ciclo dedicato a Marcel Proust. Lo schema di queste tele, che accosta a ciascun personaggio uno sfondo ideale rappresentato come se si trattasse di una vecchia cartolina, è di semplice lettura, perché concepito come strumento di divulgazione, ma per nulla scontato, come dimostra l'attenta scelta dei fiori e degli oggetti simbolici che accompagnano i ritratti, pensati come attributi iconografici dei personaggi.
L'intento di Signorino è celebrare la cultura europea, vero fondamento della comune identità, come sottolineato da Giuseppe Cacciatore, presidente della Società salernitana di storia patria, nell'Introduzione al catalogo: “Nelle sue tele e nella luce della sua ispirazione si fa strada un soggetto unitario e insieme prismatico: l’Europa come entità transnazionale impegnata a costruire la cultura del nuovo umanesimo e dell’universalismo democratico. È questa l’Europa che dobbiamo prendere sul serio, giacché costituisce la vera alternativa agli assolutismi fondamentalistici e agli egoismi di rinascenti identità nazionalistiche, ma anche alle rinnovate egemonie di paesi economicamente forti e chiusi nel loro egoismo economico-finanziario”.
La seconda sala ospita alcuni bozzetti e l’inedito dipinto “Per Europa”, una personalissima interpretazione del “Ratto d'Europa” di Luca Giordano, qui liberata dalle ombre seicentesche per dare risalto a uno scorcio della Costa d'Amalfi che lega il nostro territorio al mito. Completano l'allegoria un albero d'ulivo e un cartiglio sospeso a mezz'aria, sul quale è accennata la colomba della pace, citazione della celebre affiche disegnata da Pablo Picasso per il Congresso della pace del 1949, e il manto azzurro della principessa, che dodici stelle trasformano nella bandiera dell'Unione Europea. La pace, che ha dato il via al processo di unificazione, e la sua meta sono i due poli della gioiosa corsa del toro ornato di fiori attraverso il Mediterraneo, culla di grandi civiltà e crocevia di popoli. Proprio la colomba e il vessillo dell'Unione, i due simboli più importanti della mostra, impreziosiscono la torta offerta per l'inaugurazione dall'associazione culturale Scriptorium, un delizioso esempio di cake design per salutare l'incontro fra l'Europa e l'arte del Maestro Signorino.
La mostra di Paolo Signorino alla Pinacoteca provinciale di Salerno.
La mostra di Paolo Signorino alla Pinacoteca provinciale di Salerno.

Sette giorni per I viaggi di Eliana Petrizzi



Pietra di garza.
Pietra di garza.
[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 22 marzo 2013, p.27.]
Con la personale intitolata I viaggi dentro Eliana Petrizzi ritorna a Salerno presso la galleria “Il Catalogo”. Diciotto opere dell'artista irpina resteranno esposte fino al 30 marzo.
Partendo dall'individuazione di elementi simbolici che rimandano a concetti spirituali, la sua ricerca realizza il superamento della fisicità per cogliere il senso universale delle cose. La consapevolezza della sproporzione fra questo scopo e la capacità di realizzarlo, determinata dai limiti intrinseci alla condizione umana, è espressa dall'atmosfera malinconica che pervade i dipinti. Varie stratificazioni di diversa trama e consistenza culminano con velature tese all'ottenimento di una figurazione realistica e tuttavia connotata da un senso di indeterminatezza. Il colore, slegato dalla rappresentazione fedele, fotografica della realtà, assume un valore concettuale; le monocromie restituiscono immagini tremule, palpitanti, che invitano a una calma meditazione.
Fra le soluzioni formali proposte dall'artista si segnalano in particolare i dittici, volti a rappresentare concetti non sintetizzabili in una sola immagine secondo un principio analogo a quello posto in atto attraverso la scrittura ideografica: la combinazione di elementi riconoscibili permette all'osservatore di ricostruire una narrazione attraverso la quale pervenire al significato. In genere tale processo è attivato dal binomio volto-paesaggio, inteso come contrapposizione fra interiorità ed esteriorità, anima e mondo, e svolge la stessa funzione chiarificatrice che è propria dei sogni. Il volto isolato, sospeso nel buio, rappresenta l'aspetto spirituale, immortale e intangibile, e tuttavia non estraneo all'amarezza dell'esistenza, resa attraverso tagli, screpolature, striature e altre interferenze visive, che tuttavia non sembrano turbare più di tanto la purezza dell'immagine aggredita, violata, eppure persistente, al punto da stagliarsi al di là delle ferite, fissata nell'espressione pacata di chi non ha ancora aperto gli occhi alla realtà o non ha più bisogno di vedere. In definitiva, la figura sembra trarre forza proprio da ciò che la indebolisce, per esprimere la piena accettazione di un'esistenza connotata dalla fragilità. Il paesaggio, reso attraverso immagini evanescenti, evoca il silenzio, che pone in relazione con l'essenza delle cose, e la solitudine, che segna tutti i momenti di passaggio che scandiscono il corso della vita ma permette di ritrovarsi.
Big stone.
Big stone.

Il Fai presenta il segno di Paolo Signorino



Il tavolo dei relatori.
Il tavolo dei relatori (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 21 marzo 2013, p. 27.]
Si è tenuta ieri, presso la Sala Giunta di Palazzo S. Agostino, la conferenza stampa di presentazione degli eventi organizzati dalla Provincia di Salerno in occasione della “XXI Giornata FAI di primavera”. Sabato 23 e domenica 24 marzo si potranno ammirare le stanze decorate di Palazzo D'Avossa e la corte interna di Palazzo Pinto, impreziosita da un pregevole esempio di arco catalano. Nello stesso edificio, sede della Pinacoteca provinciale, è stata allestita la mostra “Paolo Signorino per Europa”, allestita da 
Floriana Gigantino e curata da Laura Del Verme ed Erminia Pellecchia, che ha moderato l'incontro.
Susy Camera d’Afflitto, delegato del FAI di Salerno, ha ricordato lo scopo della Fondazione: far conoscere alla collettività la bellezza e l'importanza del patrimonio artistico e ambientale italiano affinché si avverta la necessità di preservarlo per le future generazioni. Quest'edizione della Giornata FAI di primavera assume particolare rilievo per la presenza delle opere di Paolo Signorino, che si affiancano alla collezione permanente della Pinacoteca provinciale grazie alla disponibilità di Barbara Cussino, Dirigente provinciale del settore Musei e Biblioteche. Il Dirigente provinciale del settore Patrimonio Angelo Michele Lizio ha sottolineato in proposito il costante impegno della Provincia nell'assicurare le risorse per la riqualificazione di Palazzo Pinto, che hanno creato le premesse per la scoperta e la valorizzazione dell'arco catalano del XV sec. L'arch. Ruggiero Bignardi, curatore del restauro, ha ricordato brevemente lo stato del luogo interessato dal recupero, che tra Ottocento e Novecento venne a poco a poco inglobato da strutture più recenti a destinazione abitativa o commerciale, in seguito soggette a crolli. Solo grazie al coordinamento fra gli Enti proprietari dell'edificio, la Provincia e l'Azienda Ospedaliera Universitaria S.Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, alla fine degli anni Novanta è stato reso possibile l'avviamento dei lavori.
Il senso della personale di Paolo Signorino – ha dichiarato Erminia Pellecchia – è racchiuso nell'attualità del messaggio, un richiamo all'unità e al riconoscimento della comune identità europea in un momento di crisi che non investe solo l'economia, ma anche il processo di integrazione. L'artista ha illustrato brevemente il percorso espositivo allestito per l'occasione, che comprende ritratti di letterati illustri, testimoni dell'unità europea, fra i quali Giacomo Leopardi, e un'originale rivisitazione del “Ratto d'Europa” di Luca Giordano.
Palazzo D'Avossa, l'altro edificio storico salernitano che verrà aperto al pubblico, si trova nel quartiere “dei Barbuti”, poco lontano dal Duomo. Già sede della Soprintendenza BAAPSAE, dal 2012 ospita alcuni uffici della Provincia di Salerno, proprietaria dei primi due piani. Famoso soprattutto per aver accolto personaggi illustri, tra i quali re Carlo III, Gioacchino Murat e Giuseppe Garibaldi, è importante soprattutto per il gusto neoclassico della decorazione pittorica al secondo piano e delle statue presenti nel cortile, fra cui un Dioniso costituito da due parti di copie romane di un capolavoro greco del V secolo a.C. Matilde Romito, dirigente provinciale del settore Mostre ed Eventi culturali, riferendosi a questi e altri pregi del complesso, ha sottolineato l'importanza di far conoscere e salvaguardare i beni culturali, che sarebbe più opportuno chiamare “eredità culturali”, facendo propria un'espressione di Philippe Daverio.
La Pinacoteca Provinciale e la mostra di Paolo Signorino saranno aperti sabato 23 e domenica 24, dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 19,30. Sabato 23 dalle 9.00 alle 10.00 l'ingresso sarà riservato alle scuole. Alle 17.30 di sabato 23 e alle 11.30 di domenica 24, sono previste visite guidate a cura del M° Paolo Signorino. Palazzo d'Avossa sarà visitabile sabato 23 e domenica 24, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00. Dalle 9.00 alle 10.00 di sabato 23 l'ingresso sarà riservato alle scuole. Visite guidate da Matilde Romito alle 19,00 di sabato 23 e di domenica 24. L'arco catalano di Palazzo Pinto sarà visitabile sabato 23, dalle 17,00 alle 20,00. Alle 20,00 è prevista una visita guidata dall'arch. Ruggiero Bignardi. Alle 20,30 si terrà un concerto dell'"Enigma Ensemble". In tutti i siti interessati dalla manifestazione i visitatori saranno accolti dagli Apprendisti Ciceroni® dell'ISIS "Giovanni XXIII".
Paolo Signorino e Susy Camera D'Afflitto.
Paolo Signorino e Susy Camera D'Afflitto (foto: A. Fiore).