Terminati i lavori di ristrutturazione,
il Museo
Archeologico Provinciale di Salerno è di nuovo
visitabile. Finalmente si può tornare a passeggiare nel giardino
antistante, sede di un lapidario che ospita, fra l'altro, una Venere
con delfino. I reperti esposti nelle sale, che testimoniano il
passato del nostro territorio dalla preistoria all'epoca
tardo-antica, sono raggruppati per aree topografiche. L'effetto
complessivo è quello di una storia ricostruita per fotogrammi,
cosicché in soli tre “scatti” è resa l'idea dell'aspetto della
regione nel Pleistocene, con fiumi popolati da ippopotami e savane
frequentate da elefanti primitivi, ma lo sguardo potrebbe soffermarsi
piuttosto sul reperto più piccolo, il molare di un misterioso
antenato dell'asino. Le teche successive rievocano l'entrata in scena
dell'uomo, col suo armamentario di pietre scheggiate, monotono solo
in apparenza. Se la preistoria si mostra, per così dire, “in presa
diretta”, attraverso armi, utensili e avanzi di pasti, che si sono
conservati soprattutto nelle caverne, la narrazione della protostoria
e poi della storia è affidata per lo più ai corredi funerari
rinvenuti nelle tombe, che rendono manifesto il rapporto con la morte
e con l'idea dell'al di là, ma raccontano soprattutto la vita, così
come i resti delle navi naufragate parlano dei traffici marittimi che
collegavano la nostra penisola con varie località del Mediterraneo:
un'animazione proiettata su un grande schermo mostra una
ricostruzione delle rotte pricipali, che interessarono la stessa
Salerno soprattutto a partire dall'inizio della dominazione romana. I
reperti rinvenuti nella parte occidentale della città, per lo più
in necropoli, testimoniano infatti la sua particolare floridezza
dall'età augustea al IV secolo d.C., dovuta alla posizione
geografica estremamente favorevole, che ne fece il centro di intensi
scambi commerciali via mare o con le regioni limitrofe. Un settore
dedicato ai reperti provenienti da collezioni private, frutto di
rinvenimenti casuali o di scavi non sistematici, integra la dotazione
del Museo.
Al primo piano sono esposti i reperti
provenienti dall'insediamento preromano di Fratte. Lo spazio
espositivo è articolato in due sezioni: una dedicata alle necropoli
e l'altra all'abitato (ricostruito con l'ausilio di un'animazione in
3-D) e agli edifici religiosi, con particolare attenzione al culto di
Eracle. Le tombe hanno restituito pregevoli esempi di arte vascolare,
fra i quali spicca un Deinos attico a figure nere attribuibile al
Pittore di Antimenes (fine VI sec. a.C.), sul quale sono
rappresentati episodi mitici. Non meno interessante è il ricco
repertorio di iscrizioni incise sul vasellame rinvenuto nelle
sepolture, dal quale sono stati tratti alcuni esempi, che
testimoniano un'intensa mobilità e un elevato grado di integrazione
fra diverse etnie: vi si riconoscono nomi etruschi, mentre quelli
osci o riferibili ad altri popoli italici sono scritti in alfabeto
acheo. L'esemplare più curioso è un'olpetta poseidoniate del V
secolo a.C., una specie di piccola brocca sulla quale è incisa una
singolare iscrizione greca in alfabeto acheo (“Apollodoro ama
Ksylla/Vulca sodomizza Apollodoro/Onata ama Nikso/Ybrisio ha amato
Parmynio”), che perpetua il ricordo di pratiche sessuali fra
personaggi etruschi (Vulca), greci (Apollodoro, Onata) e italici
(Ksylla, Ybrisio, Parmynio) riuniti in simposio.
Al termine della visita si accede alla suggestiva Sala di Apollo, dove si può ammirare una testa bronzea di Apollo (I sec. a.C.-I sec. d.C.) ripescata per caso dal mare nel 1930, recuperando una rete. L'allestimento comprende un'installazione multimediale che rievoca l'avvenimento con le parole del poeta Giuseppe Ungaretti, ispirate dalla contemplazione del prezioso reperto:
Al termine della visita si accede alla suggestiva Sala di Apollo, dove si può ammirare una testa bronzea di Apollo (I sec. a.C.-I sec. d.C.) ripescata per caso dal mare nel 1930, recuperando una rete. L'allestimento comprende un'installazione multimediale che rievoca l'avvenimento con le parole del poeta Giuseppe Ungaretti, ispirate dalla contemplazione del prezioso reperto:
“È già quasi notte, e in fila tornano in porto i pescatori d'alici. Raccogliendo le reti, una sera, a una maglia restò presa non la gola d'un pesciolino, ma a un cernecchio, una testa d'Apollo [...]. L'ho veduta al Museo di Salerno, e sarà prassitelica o ellenistica, poco importa; ma questo volto, che per più di duemil'anni fu lavorato dal mare nel suo fondo, ha nella sua patina tutti i colori che oggi abbiamo visto, ha conchigliette negli orecchi e nelle narici: ha nel suo sorriso indulgente e fremente, non so quale canto di giovinezza risuscitata! Oh! tu sei la forza serena e la bellezza. Quale augurio non ci reca quest'immagine che fra gli ulivi, è finalmente tornata fra noi.”
Chi può pensare che il passato sia morto? Risorge a ogni passo ed evoca una civiltà straordinariamente vitale, in cui la manifestazione dei sentimenti poteva davvero definirsi del tutto libera. L'olpetta del V secolo dedicata all'amore tra uomini non allude solo al carattere pansessuale degli antichi, ma alla loro febbre di vivere.
RispondiEliminamolto interessante, quanto prima andrò a visitare questo museo, promette proprio bene. A volte capita di cercare spunti culturali chissà dove per poi rendersi conto di conoscere poco o nulla le ricchezze e i tesori di "casa"!
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