Di Aristide
Fiore
La traccia del terremoto dell'Irpinia del 1980 registrata dal sismografo. |
[Pubblicato
su Le
Cronache del salernitano,
sabato 23 novembre 2013, p. 17.]
Alle
19,34 di domenica 23 novembre 1980 una forte scossa, durata circa 90
secondi, colpì
la Campania
centrale
e la Basilicata centro-settentrionale. Il sisma, con epicentro
situato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della
Campania, aveva una magnitudo di
6,8 gradi Richter e causò
circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Nel complesso, fu
interessata un'area
17.000 mq, estesa dall'Irpinia al Vulture, fra le province di
Avellino (103
comuni),
Potenza (45)
e Salerno (66).
I comuni
più colpiti, in alcuni casi pressoché distrutti, come nel caso di
Sant'Angelo
dei Lombardi,
furono quelli di Castelnuovo
di Conza,
Conza
della Campania,
Laviano,
Lioni,
Senerchia, Calabritto e Santomenna.
Fra i numerosi episodi tragici connessi all'evento, destò
particolare emozione il crollo della
chiesa di S. Maria Assunta a Balvano,
nel potentino, avvenuto durante la
messa serale. Gli effetti del terremoto si manifestarono tuttavia in
un'area molto più vasta, corrispondente grosso modo al centro-sud
della penisola, e coinvolsero circa sei milioni di abitanti. Molte
lesioni e crolli si ebbero anche a Napoli
e
in altre province campane.
La
reale gravità del sisma non venne valutata subito, a causa
dell'interruzione totale delle telecomunicazioni. Soltanto le
ricognizioni aeree effettuate la mattina seguente permisero una stima
preliminare. Alle
stesse autorità occosero diversi giorni per effettuare il computo
delle vittime e dei danni.
Secondo
l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV)
il movimento tellurico fu provocato da tre distinti fenomeni di
rottura, che si verificarono, in rapida successione, lungo differenti
segmenti di faglia
(frattura della crosta terrestre, caratterizzata dallo spostamento
reciproco delle due parti separate), situati
sotto i monti Marzano,
Carpineta
e
Cervialto.
Il conseguente spostamento delle superfici della faglia determinò la
formazione di una scarpata osservabile per circa 35 chilometri.
Ulteriori studi hanno dimostrato che quella stessa faglia ha già
generato altri terremoti della stessa entità di quello del 1980,
all'incirca ogni 2000 anni.
Gli effetti della
scossa, corrispondenti,
nelle zone più colpite, al decimo grado della scala
Mercalli,
furono aggravati dal cattivo stato del parco edilizio e dal ritardo
dei soccorsi, ostacolati dal cattivo stato delle infrastrutture e non
ancora coordinati da un'apposita organizzazione, come la Protezione
Civile, che sarebbe stata istituita in seguito. I primi aiuti alle
popolazioni colpite furono dovuti in molti casi all'iniziativa
spontanea di moltissimi volontari che si lanciarono in un'eroica gara
di solidarietà, spesso privi di mezzi quasi come coloro che
intendevano soccorrere. Si potè contare anche su molti aiuti
internazionali, sia economici sia logistici, provenienti soprattutto
da Stati Uniti e Repubblica Federale Tedesca. Ciononostante la
ricostruzione fu, nel complesso, lentissima e divenne spesso un
pretesto per speculazioni, basate soprattutto su un ipotetico
rilancio industriale in aree inidonee, e elargizioni ingiustificate
di fondi pubblici. La sistemazione dei senzatetto in alloggi
prefabbricati fu completata nel giro di alcuni mesi, con tempi oggi
impensabili, e per molti la definitiva assegnanzione di alloggi in
muratura comportò un'attesa pluridecennale, come nel caso del famoso
“Villaggio dei puffi”, l'emblematico agglomerato di prefabbricati
pesanti situato nella zona orientale di Salerno, in via Marchiafava,
che fu smantellato soltanto nel dicembre del 2003, dopo essere
entrato di diritto nella memoria collettiva.
Il danno
economico derivato dalla catastrofe fu ingentissimo: secondo una
recente stima del giornalista Sergio Rizzo, attualizzata al 2010, il
loro ammontare supererebbe i 66 miliardi di euro. Agli ingenti danni
al patrimonio edilizio si aggiunse la scomparsa di una notevole
quantità di attività produttive, con la conseguente perdita di
migliaia di posti di lavoro.
Anche il mondo
dell'educazione e della cultura riportò notevoli ferite: per quanto
riguarda la città di Salerno, basti pensare alla notevole riduzione
del numero di aule scolastiche, dovuta sia all'inagibilità degli
edifici scolastici sia all'occupazione degli stessi da parte di
alcune famiglie sfollate. La chiusura del Teatro Giuseppe Verdi,
gravemente dannegiato, si protrasse per circa quattordici anni, fino
all'inaugurazione del 1994, in occasione della quale si tenne un
concerto dei Solisti Veneti che, unitamente alle celebrazioni del
cinquantenario di "Salerno
Capitale d'Italia",
simboleggiò la rinascita della città e del suo retroterra.
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