sabato 23 novembre 2013

La faglia della morte: Marzano, Carpineta e Cervialto

Di Aristide Fiore
La traccia del  terremoto dell'Irpinia del 1980 registrata dal sismografo.
La traccia del  terremoto dell'Irpinia del 1980
registrata dal sismografo.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, sabato 23 novembre 2013, p. 17.]
Alle 19,34 di domenica 23 novembre 1980 una forte scossa, durata circa 90 secondi, colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Il sisma, con epicentro situato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, aveva una magnitudo di 6,8 gradi Richter e causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Nel complesso, fu interessata un'area 17.000 mq, estesa dall'Irpinia al Vulture, fra le province di Avellino (103 comuni), Potenza (45) e Salerno (66). I comuni più colpiti, in alcuni casi pressoché distrutti, come nel caso di Sant'Angelo dei Lombardi, furono quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Senerchia, Calabritto e Santomenna. Fra i numerosi episodi tragici connessi all'evento, destò particolare emozione il crollo della chiesa di S. Maria Assunta a Balvano, nel potentino, avvenuto durante la messa serale. Gli effetti del terremoto si manifestarono tuttavia in un'area molto più vasta, corrispondente grosso modo al centro-sud della penisola, e coinvolsero circa sei milioni di abitanti. Molte lesioni e crolli si ebbero anche a Napoli e in altre province campane.
La reale gravità del sisma non venne valutata subito, a causa dell'interruzione totale delle telecomunicazioni. Soltanto le ricognizioni aeree effettuate la mattina seguente permisero una stima preliminare. Alle stesse autorità occosero diversi giorni per effettuare il computo delle vittime e dei danni.
Secondo l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) il movimento tellurico fu provocato da tre distinti fenomeni di rottura, che si verificarono, in rapida successione, lungo differenti segmenti di faglia (frattura della crosta terrestre, caratterizzata dallo spostamento reciproco delle due parti separate), situati sotto i monti Marzano, Carpineta e Cervialto. Il conseguente spostamento delle superfici della faglia determinò la formazione di una scarpata osservabile per circa 35 chilometri. Ulteriori studi hanno dimostrato che quella stessa faglia ha già generato altri terremoti della stessa entità di quello del 1980, all'incirca ogni 2000 anni.
Gli effetti della scossa, corrispondenti, nelle zone più colpite, al decimo grado della scala Mercalli, furono aggravati dal cattivo stato del parco edilizio e dal ritardo dei soccorsi, ostacolati dal cattivo stato delle infrastrutture e non ancora coordinati da un'apposita organizzazione, come la Protezione Civile, che sarebbe stata istituita in seguito. I primi aiuti alle popolazioni colpite furono dovuti in molti casi all'iniziativa spontanea di moltissimi volontari che si lanciarono in un'eroica gara di solidarietà, spesso privi di mezzi quasi come coloro che intendevano soccorrere. Si potè contare anche su molti aiuti internazionali, sia economici sia logistici, provenienti soprattutto da Stati Uniti e Repubblica Federale Tedesca. Ciononostante la ricostruzione fu, nel complesso, lentissima e divenne spesso un pretesto per speculazioni, basate soprattutto su un ipotetico rilancio industriale in aree inidonee, e elargizioni ingiustificate di fondi pubblici. La sistemazione dei senzatetto in alloggi prefabbricati fu completata nel giro di alcuni mesi, con tempi oggi impensabili, e per molti la definitiva assegnanzione di alloggi in muratura comportò un'attesa pluridecennale, come nel caso del famoso “Villaggio dei puffi”, l'emblematico agglomerato di prefabbricati pesanti situato nella zona orientale di Salerno, in via Marchiafava, che fu smantellato soltanto nel dicembre del 2003, dopo essere entrato di diritto nella memoria collettiva.
Il danno economico derivato dalla catastrofe fu ingentissimo: secondo una recente stima del giornalista Sergio Rizzo, attualizzata al 2010, il loro ammontare supererebbe i 66 miliardi di euro. Agli ingenti danni al patrimonio edilizio si aggiunse la scomparsa di una notevole quantità di attività produttive, con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro.

Anche il mondo dell'educazione e della cultura riportò notevoli ferite: per quanto riguarda la città di Salerno, basti pensare alla notevole riduzione del numero di aule scolastiche, dovuta sia all'inagibilità degli edifici scolastici sia all'occupazione degli stessi da parte di alcune famiglie sfollate. La chiusura del Teatro Giuseppe Verdi, gravemente dannegiato, si protrasse per circa quattordici anni, fino all'inaugurazione del 1994, in occasione della quale si tenne un concerto dei Solisti Veneti che, unitamente alle celebrazioni del cinquantenario di "Salerno Capitale d'Italia", simboleggiò la rinascita della città e del suo retroterra.

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